Uomo e galantuomo: la “pazzia” catartica di un teatro senza tempo

Si ritorna al passato, ma è ancora presente con “Uomo e Galantuomo”, secondo appuntamento dell’ottava stagione teatrale del De Filippo di Agropoli. Il pubblico in sala ha apprezzato la scelta del direttore artistico Pierluigi Iorio di riproporre, a centouno anni di distanza, la commedia scritta da Eduardo De Filippo per Vincenzo Scarpetta. Un secolo di storia non ha scalfito la contemporaneità del testo, i tempi comici esilaranti, le battute pronte, la malinconica risata tipica del teatro che irrompe nella nostre vite, rendendo le vicende quotidiane un’ispirazione costante per esorcizzare le miserie e le paure.

Non era semplice confrontarsi con un testo conosciuto e amato da tutti. Geppy Gleijeses, con la sua compagnia, riesce a portare in scena la nostalgia del passato con la consapevolezza di non dover mai dimenticare il presente. Nei panni del capocomico spiantato Gennaro De Sia, omaggia il grande Eduardo, ma dona al personaggio anche un tocco di interpretazione personale, quasi in punta di piedi e nel rispetto della sacralità del testo originale.

Di fronte alle commedie di Eduardo De Filippo, l’approccio del pubblico è dualistico: c’è chi ne conosce a memoria le battute, anticipandole quasi, e chi, soprattutto i più giovani, per la prima volta si approccia al teatro. Il risultato, però, è una risata spontanea e liberatoria alle celebri battute “Tengo una buatta” e “Nzerra chella porta”, che riportano alla mente la genialità di una scrittura che continua a fare scuola. Sì, perché i testi di Eduardo sconvolgono per la straordinaria costruzione della storia e per la descrizione della miseria umana attraverso la messa in scena di situazioni comiche, ma talmente reali da sentirsi quasi parte dello spettacolo.

La compagnia di guitti diventa la rappresentazione delle nostre paure. Loro, alle prese con la fame e la povertà, redonono l’arte della recitazione un’àncora di salvezza per distrarsi dalla miseria sia dell’animo che del portafoglio. Noi, nella continua corsa verso standard di vita sempre più alti, ritroviamo nel teatro la rappresentazione più vera del genere umano, ridendo  di loro, ma, in fondo, anche delle nostre vite. Emblematica è la prova disastrosa che la compagnia fa per mettere in scena il dramma La Malanova di Libero Bovio.Spalleggiato dall’attore Gino Curcione, che veste i panni del suggeritore disastroso,  Geppy Gleijeses regala momenti di comicità autentica che rendono un testo drammatico come La Malanova uno degli sketch più esilaranti della commedia.

A tutto ciò si aggiunge l’equivoco tipicamente eduardiano, così sintetizzato da Gennaro “Questa è una storia dannata perché ci sono due figli, due madri e tre padri”. Scoppiettante e divertente è l’interpretazione di Riccardo Feola nei panni di Alberto De Stefano, il padre di troppo, che fingerà di essere pazzo, agli occhi di un esterrefatto e confuso delegato di polizia ( Ciro Capano), per non essere ucciso dal conte Carlo Talentano, interpretato da Ernesto Mahieux, con eleganza e maestria.

Con la scenografia di Andrea Taddei, la commedia racconta la società di ieri e di oggi, in cui l’umanità, per sopravvivere, ha bisogno di espedienti, che sia l’arte o la pazzia, poco importa. Un mondo in cui i ruoli si contrappongono a tal punto che la vita diventa arte, l’arte mette in scena la pazzia e soltanto “i pazzi” possono continuare a vivere all’insegna del Teatro.